lunedì 1 dicembre 2014

Ebihara Kinosuke, "Uomo che costruisce un'imbarcazione", 1954

Ci sono quadri il cui soggetto è così evidentemente allegorico che ne fa, a prima vista, una scena monumentale, che, in quanto tale, dà una certa noia ed un rigetto per la pomposità.
Quest'opera, per quanto allegorica e monumentale, sfugge dalle definizioni e risulta originale ("originale" significa due cose: "che origina altro" e "che concerne l'origine", che parte dal punto originante). 
Infatti, l'uomo rappresentato è, sì, eroico e fiero; ma, allo stesso tempo, è ancora indefinito, è in via di definizione. Dalle gambe alla testa, il disegno è sempre meno definito. E' fatto della stessa materia dell'imbarcazione che costruisce; potremmo dire che egli è il suo lavoro, e perciò che, attraverso la costruzione della struttura di legno, costruisce se stesso. Non è il "lavoro che nobilita l'uomo", inteso come professione, come condizione in cui siamo immersi, ma quel lavoro di costruzione della realtà stessa, quei due o tre che si mettono insieme e formano una compagnia non casuale di persone.
C'è, però, un terzo elemento nel quadro, oltre all'uomo e all'imbarcazione: è il cielo, dipinto non come sfondo, ma come contrasto con ciò che è terrestre, e che perciò lo informa. Se in quest'immagine non vi fosse il cielo, tutto sarebbe confusamente giallo, senza confini, senza definizione.

Dal 1923, data in cui si reca in Francia, al 1934 quando ritorna in Giappone, Ebihara conduce la sua vita di pittore a Parigi. Prescelto al Salon d'Autumn è scoperto dal commerciante d'arte Henri Pierre Roger e diviene così un pittore a contratto. Approfondisce molto l'amicizia con Giacometti e Campili, e la sua presenza diventa tale che viene individuato come la colonna portante del futuro dell'Ecole de Paris. I pittori giapponesi che in questo periodo soggiornano a Parigi sono numerosi, ed il fatto che la figura di Ebihara sia considerata seconda soltanto a quella di Fujita Tsuguharu è dovuto probabilmente al particolare lirismo emanato dai suoi purissimi azzurri. 
In seguito alla crisi delle gallerie d'arte di Parigi, è costretto a tornare in patria, dove mette a frutto le conoscenze apprese durante il suo soggiorno, specialmente quelle compositive e di purificazione dei colori.
Nel Dopoguerra, i suoi soggetti riguardano spesso la ricostruzione del Giappone.
Nel 1968, per incontrarsi con Fujita, ricoverato in una casa di cura in Svizzera, ritorna in Europa, e muore in Francia nel 1970.


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