lunedì 7 febbraio 2011

Edith Stein e “La struttura della persona umana" III

L’animale, invece, appare in ogni suo movimento stimolato dall’interno e attratto o respinto dall’esterno. I suoi movimenti nascono dal contrasto tra le due cose. E come quiete e chiusura in sé sono caratteristiche della pianta ed il forte radicamento alla terra è come il simbolo della sua essenza, così per l’animale sembra essenziale l’assenza di quiete e di fissità, che esige necessariamente libertà di movimento nello spazio. Definiamo sensazione l’essere colpito interiormente, che provoca il movimento reattivo, come percezione di ciò che accade all’essere vivente (nella usuale terminologia psicologica la sensazione è considerata già una reazione). L’animale sente ciò che accade ad esso sul, nel e col suo corpo vivente. Il corpo vivente è percepito immediatamente come senziente e proprio questo lo differenzia dal mero organismo. La sensibilità agli stimoli esterni è un’apertura della natura animale verso l’esterno, la sensibilità nei confronti di se stessi e un’apertura verso l’interno. Così ci imbattiamo in un essere interiore. Abbiamo rinvenuto in esso una forma interiore come principio di vita, e di formazione che viene tradizionalmente indicata come “anima vegetativa”, ma la sua vita si esaurisce nell’attività formativa. L’anima animale viene tradizionalmente indicata come anima sensitiva, come anima sensibile.

“Avere un’anima” significa possedere un centro interiore in cui converge sensibilmente tutto ciò che proviene dall’esterno, da cui scaturisce tutto ciò che nell’atteggiamento del corpo vivente appare proveniente dall’interno. È il punto di scambio a cui arrivano gli impulsi e da cui partono le reazioni. E se la vita animale è un inquieto essere sospinti e mossi, allora il luogo proprio dell’inquietudine è l’anima che è consegnata a questa attività e non si può sottrarre ad essa. L’anima lo muove secondo ciò di cui ha bisogno, gli istinti dell’anima sono al servizio del mantenimento e dello sviluppo del corpo, come desiderio di ciò di cui esso ha bisogno e repulsione verso ciò che lo minaccia. Anche nell’essere umano rinveniamo un’apertura sensibile a impressioni esterne ed interne e la reazione ad impressioni esterne con atti e movimenti istintivi. E qui possiamo effettivamente sperimentare interiormente, in noi stessi, cosa voglia dire percepire sensitivo e agire reattivo. Abbiamo questa possibilità perché non siamo esseri puramente sensitivi, ma capaci di conoscenza spirituale. In virtù della nostra spiritualità, riusciamo a cogliere ciò che c’è di animale in noi. Abbiamo certi stati di sentimento generale che non sono legati a determinate e precise impressioni sensoriali, ma vengono avvertiti, allo stesso tempo, mediante l’anima e il corpo vivente, come stati globali: freschezza e spossatezza, piacere e dispiacere. Sperimentiamo in noi anche una sorta di valutazione istintiva del significato che per noi riveste ciò che incontriamo. Certi cibi ci disgustano in un modo che va ben oltre il semplice fatto di non essere di nostro gusto. Di altri abbiamo un desiderio tanto grande che non si giustifica con il fatto che ci procurerebbe gioia, ma ne avvertiamo il bisogno. L’esperienza ci mostra che gli istinti umani non sono così fini e sicuri come quelli degli animali. Pur tuttavia non se ne può negare la presenza. Le analisi essenziali dell’anima condotte da Edith Stein compensano il pericoloso squilibrio dalla parte dell’inconscio e delle pulsioni, guadagnando una posizione più proporzionale e armonica. Qui la coscienza, intesa come faro in grado di illuminare gli strati più oscuri e profondi, assume un ruolo decisivo.

A differenza della pianta e dell’animale, nei quali le capacità specifiche non si sono sviluppate a causa di condizioni esterne, per l’essere umano, in più, si considera lui stesso responsabile di ciò che egli è diventato. Cosa vuol dire che l’essere umano è responsabile di se stesso? Vuol dire che da lui dipende ciò che egli è, e che gli si chiede di fare di sé qualcosa di determinato: egli può e deve formare se stesso. L’essere umano, nella sua totalità, viene plasmato mediante la vita attuale dell’io e costituisce “materia” per la formazione attraverso l’attività dell’io. Proprio qui siamo di fronte al sé, che può e deve essere formato dall’io. Ciò per cui mi decido in ogni momento definisce non solo la struttura della vita attuale e presente, ma è importante per ciò che io, essere umano nella mia propria interezza, divento. L’essere umano, con tutte le sue capacità corporee e psichiche, è il sè che io devo formare. Ma cos’è l’io? L’abbiamo chiamato persona spirituale, libera; gli atti intenzionali sono la sua vita. Questo io libero, personale, come tale, sta al di fuori della natura corporea e psichica che deve formarlo col suo agire, o appartiene ad esso, ne è la “forma interiore”? Che io debba formare me stesso sembra indicare che l’io debba essere incluso in una tale unità reale.

Io non sono il mio corpo vivente, io ho e domino il mio corpo vivente. Posso anche dire: io sono nel mio corpo vivente. Idealmente posso allontanarmene e osservarlo come dall’esterno. In realtà sono legato ad esso. Sono là dove si trova il mio corpo vivente, anche se “in spirito” posso portarmi all’altro capo del mondo e persino elevarmi al di sopra dello spazio. Non posso, però, individuare il punto nel corpo in cui l’io avrebbe la sua dimora. Si è tentato di farlo in passato: ma quand’anche l’anatomia cerebrale potesse indicare una parte determinata del cervello la cui distruzione comportasse una diminuzione della “coscienza dell’io” e dell’intera struttura personale-spirituale, non potremmo affermare che l’io si trovi in questo punto. L’io non è una cellula cerebrale; ha un senso spirituale che è accessibile solo nei nostri vissuti. Ed anche la localizzazione dell’io può essere determinata solo a partire dal vissuto. Questa localizzazione vissuta non deve essere determinata fisicamente. Posso recarmi in qualunque punto del mio corpo vivente ed essere presente in esso, sebbene alcune parti, ad esempio la testa e il cuore, mi siano più vicine di altre.

Giungiamo qui alla radice dell’unità fra corpo vivente e anima; ma con ciò anche alla domanda: in quale rapporto l’io è con l’anima? Io sono la mia anima? La Stein nel Il problema dell’empatia dice che l’io puro è: «il Soggetto dell’esperienza vissuta privo di qualità e non altrimenti descrivibile». L’abbiamo chiamato persona spirituale, libera. L’Io è quel punto da cui partono i raggi della coscienza, ma solo un io che ha l’anima può sentirsi a casa. La mia anima ha estensione e profondità etc. A seconda degli atti in cui, di volta in volta, l’io vive, esso occupa una posizione nell’anima. Vi è però, un punto nello spazio dell’anima in cui l’io trova il suo luogo proprio, il luogo della sua pace, che esso deve cercare finché non lo abbia trovato e a cui sempre deve tornare se lo ha abbandonato, questo è il punto più profondo dell’anima. Solo da qui l’anima può raccogliersi, poiché da nessun altro punto può abbracciare se stessa totalmente. Solo da qui può prendere decisioni in piena coscienza, da qui può impegnarsi per qualcosa, può sacrificarsi e donare se stessa. Questi sono tutti atti della persona. Io devo prendere decisioni, devo impegnarmi, ecc. Questo è l’io personale che, allo stesso tempo, è un io animato, che appartiene a questa anima e in essa ha la sua dimora. Chi vive prevalentemente o esclusivamente alla superficie, non possiede ciò che appartiene agli strati più profondi. Essi sono presenti, ma non sono attualizzati, non così come potrebbero o dovrebbero esserlo. La persona non si possiede nel senso di aversi in mano, completamente e non vive in maniera piena la sua vita. Non è in grado di accogliere, come si conviene, ciò che ad essa giunge dall’esterno, infatti ci sono cose che vengono accolte solo movendo da una certa profondità e solo da lì possono ricevere una risposta adeguata.“Cercare se stessa”, discendere nella propria profondità, da qui comprendersi come una totalità e possedersi nel senso di aversi in mano è, però, una questione di libertà. Perciò è colpa della persona se l’anima non giunge alla pienezza del suo essere e della sua forma. Questa struttura essenziale dell’anima può essere considerata come una forma interiore. Ciò che mediante essa, viene formato è, innanzitutto, la sua vita attuale. Senza dubbio si deve parlare di una formazione del corpo vivente mediante l’anima e precisamente nel doppio senso della formazione dovuta alla struttura essenziale e quella realizzata per mezzo dell’agire libero. La natura interiore di un essere umano si esprime attraverso la sua esteriorità, che costituisce per noi la più importante via d’accesso alla natura dell’altro. Non possiamo determinare il momento in cui l’anima entra nell’esistenza; essa però, inizia ad esistere in un corpo vivente umano che è una cosa materiale, un organismo vivente e un corpo vivente animato. Ciò che l’individuo umano è, e può diventare, non dipende solo da ciò che è in lui è più elevato, ma anche da tutti i livelli inferiori dell’essere a cui appartiene. Questo deriva dall’ordine generale dell’essere, che esige una materia con un carattere determinato perchè possa svilupparsi pienamente una forma determinata. Si osserva però da un punto di vista puramente fenomenico, una dipendenza della vita psichico-spirituale dalla natura e dallo stato in cui si trova il corpo vivente. La malattia e la debolezza del corpo, le alterazioni delle sue funzioni normali causano un’inibizione e un cambiamento della vita psichico-spirituale. Il corpo vivente non è solo espressione dello spirito, ma anche lo strumento di cui quest’ultimo si serve nel suo agire e creare. Riassumendo possiamo dire che ogni cura sistematica ed appropriata ed ogni esercizio del corpo cooperano affinchè esso possa diventare un corpo vivente spirituale. Il prendere forma del corpo vivente, mediante la vita psichico-spirituale attuale, non comincia da un materiale totalmente informe, ma il corpo vivente, in cui si sviluppa la vita spirituale, è già fin dall’inizio corpo vivente formato e questa formazione è assunzione di una forma piena di significato, che corrisponde al modo di essere proprio dell’anima, anche se essa vi corrisponde in maniera più o meno perfetta. L’essere umano può e deve formarsi.

Abbiamo così tracciato un abbozzo della persona umana: l’essere umano è un essere costituito di corpo vivente e anima, ma essi assumono in lui una forma personale. Ciò significa che in lui dimora un io, che, che è cosciente di se stesso e che volge lo sguardo ad un mondo, un io che è libero e che grazie alla sua libertà può dar forma al corpo vivente e all’anima. Un io che vive a partire dalla sua anima e che, attraverso la struttura essenziale dell’anima, prima e accanto alla formazione volontaria di se stesso, dà spiritualmente forma alla vita attuale e all’essere psico-fisico permanente. In ultima analisi proprio lo spirito rappresenta l’aspetto più proprio della persona umana.

Il termine spirito è divenuto ormai poco usuale, “fuori moda”, nel linguaggio filosofico; è ritenuto un argomento dietro il quale sembra non esservi più nulla, un po’ per colpa di un certo esasperato idealismo e un po’ perché siamo divenuti tutti eredi di una mentalità positivistica per cui crediamo soltanto a quanto è “sperimentabile”. Lo spirito, il Geist, riveste, invece, un ruolo fondamentale, sia per Husserl che per la Stein, in quanto rappresenta il mondo del senso; ciò che contraddistingue l’esperienza umana nel modo più proprio e inequivocabile. È il regno di ciò che vale, è il regno della libertà, è il mondo dell’intersoggettività, dei rapporti reciproci, senza la lo spirito la realtà psichica si dissolverebbe in una serie di monadi psichiche. Lo spirito non consente di guardare gli altri con gli occhi dello studioso di scienze naturali, quest’ultimo, per Husserl non vede le persone, né gli oggetti della cultura dotati di senso e significato. La Stein condivide pienamente la visione del maestro, considerando la dimensione spirituale quella umana per eccellenza. A prova di ciò ella afferma: «Lo spirito è un emergere da se stessi, un’apertura in una duplice direzione, verso il mondo oggettivo, che viene esperito, e verso la soggettività estranea, lo spirito estraneo, assieme al quale si esperisce si vive». I contributi apportati dal cristianesimo, non in conflitto con la precedente visione, consentono di ampliarla e approfondirla, consentendo alla Stein di tracciare una vera e propria mappa dello spirito. Infatti, le sue analisi toccano lo spirito soggettivo, oggettivo, per passare poi al puro spirito finito e a Dio, spirito puro per eccellenza. Per la fenomenologa lo spirito gioca un ruolo fondamentale, è un aspetto di primaria importanza dell’essere umano. Il soggetto spirituale è l’io nei cui atti si costituisce un mondo di oggetti e che in forza della sua volontà crea esso stesso oggetti. Gli atti spirituali si connettono in maniera molto stretta, attraverso una connessione di senso che E. Stein, come abbiamo detto nel nostro corso, chiama motivazione. Inoltre il mondo dello spirito è soprattutto il mondo dei valori verso i quali si applica, per Husserl come per la Stein, una duplice intenzionalità: verso l’oggetto così come si presenta e verso questo stesso oggetto in quanto portatore di valore. Il soggetto che vive i valori viene considerato una persona in quanto le sue esperienze si fondono in unità di senso ed è perciò intellegibile. Infatti, una persona può essere compresa, solo tenendo presenti i valori in cui crede e mediante i quali agisce. Con l’intentio (vuol dire tendere ad, rivolgersi) iniziano gli atti che segnano l’avvio della vita spirituale ed è proprio con essa che l’essere umano si sottrae al regno della natura, aprendosi in questo modo al regno della libertà. La vita intenzionale dello spirito è l’atto che dà avvio all avita spirituale che inizia quando l’io apre il suo sguardo spirituale e si dirige verso qualcosa che gli si presenta, divenendo per lui oggetto. Tale visione rimane, in Edith Stein, immutata anche nelle opere della maturità, infatti lo spirituale continua ad essere dotato di: «un’interiorità in un senso assolutamente sconosciuto a ciò che è materiale ed esteso. Se esce da sé, questa esteriorizzazione può avvenire in molteplici modi: come un rivolgersi verso gli oggetti, come un aprirsi puramente spirituale a spiriti estranei, e come penetrazione in loro al fine di comprendere e partecipare della loro vita spirituale; ma anche come un vero strutturarsi nello spazio tuttavia permanendo in sè.

Ed è proprio in un legame di spirito che si concretizza la tradizione, la religione, gli usi, i costumi che fungono da collante all’interno di una comunità o di un popolo. La Stein dà un’ulteriore specificazione di spirito oggettivo, in quanto lo intende come spirito proveniente dall’oggetto. Infatti il concetto di spirito non è legato unicamente a Dio, ai puri spiriti e alla anime umane, perché esistono dei valori come il sublime, la bellezza che non sono persone. La bellezza di un paesaggio non è materiale anche se si configura attraverso il momento materiale, essa possiede un senso spirituale autonomo dal soggetto che lo contempla per cui non si può non desumere che il regno dello spirito abbraccia l’intero creato. E che quindi tutta la materia è attraversata dallo spirito. Tuttavia, proprio l’essere umano è essenzialmente spirito, la definizione, come già detto, non è condivisa da tutti nella cultura occidentale, anzi le interpretazioni positiviste o empiriste, che ai nostri giorni sottostanno a prese di posizione cognitiviste o largamente naturalistiche, sembrano prendere il sopravvento; non a caso quando si affronta la tanto dibattuta questione mente-corpo, si parla di “mente” perché si rifiuta, come residuo di una vecchia metafisica, il termine “anima”. Si comprende allora perché il termine spirito non sia neppure preso in considerazione. Nella tradizione anglosassone il termine “spirito” è tradotto con mind, parola “tuttofare” che indica genericamente un’attività non corporea, ma che non può certamente rendere la sottile distinzione fra psiche e spirito proposta dai fenomenologi, distinzione che viene del tutto perduta. Ciò si presenta come una conferma delle origini positiviste, empiriste e pragmatiste della cultura filosofica anglosassone la quale per ragioni epocali, tende ad essere dominante nel nostro tempo. L’anima sostanzia, si incontra con un corpo (struttura materiale formale). Edith Stein spiega questo punto cruciale della sua analisi attraverso l’utilizzo del concetto di forza vitale anche nel confronto con s. Tommaso circa la natura dell’anima. Secondo s. Tommaso l’anima è forma corporis e al contempo possiede potenze, habitus e una vita attuale; essa è altresì forma sostanziale, cioè anima spirituale non più necessariamente legata al corpo. Siamo in presenza di una forma che configura la materia: essa tiene unite una molteplicità di materie, le struttura in un organismo chiuso in se stesso e le ordina al tutto. Si tratta di una forma che è forza vivente. La Stein traduce la “potenza” implicita, non ancora attuata, di cui parla Tommaso, con tale forza vitale e poiché tale forza può essere tanto psichica quanto spirituale, il termine anima (Seele) si scinde e si specifica ulteriormente, per cui dalla parte psichica si distingue una parte più propriamente spirituale, denominata Geist.

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