sabato 16 aprile 2011

CHRISTIAN SCHAD e le schadografie

Conclusioni
Nel 1855 Antoine Wierz accoglieva così la fotografia:

“Qualche anno fa ci è stata elargita la gloria della nostra epoca, una macchina che costituisce ogni giorno lo stupore dei nostri pensieri e il terrore dei nostri occhi. Prima che sia passato un secolo questa macchina sarà il pennello, la tavolozza, i colori, l’abilità, l’esperienza, la pazienza, la lestezza, la pregnanza, la tinteggiatura, la velatura, il modello, il compimento, l’estratto della pittura… Non si creda che la dagherrotipia abbia ucciso l’arte… quando la dagherrotipia, questa figlia di giganti, sarà cresciuta, quando tutta la sua arte e la sua forza si saranno sviluppate, allora il genio l’afferrerà per la nuca, con la mano, e griderà forte: vieni qui! Tu ora mi appartieni! Lavoreremo insieme”(1).

Le enormi potenzialità espressive del nuovo mezzo venivano percepite già nel XIX secolo. Nel Novecento, gli artisti riservano alla fotografia un’attenzione nuova, finalizzata alla realizzazione di immagini fortemente sperimentali.
Riconducibili al movimento Dada sono i primi esperimenti di fotomontaggio e di fotografia senza camera.

“Dada vede nella fotografia una «meccanica morta» dove si esprimono tutti i concetti statici di una società che finge. Solo l’artificio della fotografia, la deformazione, permette di spezzare questa illusione che si posa come della vernice sulla realtà elementare”(2).

I suggestivi fotogrammi di Christian Schad, in cui le sagome chiare degli oggetti fluttuano nel buio vuoto dell’immagine in negativo, sono una prova autentica delle grandi possibilità della fotografia.


1. A.WIERZ, 1855, in W. Benjamin, Piccola storia della fotografia, 1931 in L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966. p. 78
2. H. BERGIUS, in DADA Paris-Berlin, Centre Georges Pompidou 1978, ristampa Parigi Gallimard 1992. p.132

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